Sunday, September 30, 2018

I miei nipoti di Mubarak

La cosa che ho sempre maggiormente apprezzato della politica radicale era ilfatto che diceva quel che veniva fatto e faceva quel che veniva detto. In politica si tende sempre a enfatizzare talmente tanto i propri meriti, o il proprio ruolo, che si rasentano i confini del millantato credito.

A dir la verità, alla fin fine sono pochi in effetti in partiti o movimenti politici che possono rivendicare successi; tra questi i Radicali sicuramente possono vantarsi di conquiste di libertà e civiltà in Italia e altrove. Nei miei 20 anni passati a cercar di dar corpo alla poetica pannelliana, una delle più efficaci nel far tesoro vittorioso anche le sconfitte, mi è anche capitato di fare cose molte pubbliche e in pubblico, ma alcune anche in gran segreto. La più clamorosa è raccontata nel capitolo “the calling fields” di questo libro relativa all’incriminazione di Milošević davanti al Tribunale per la ex Jugoslavia, le altre, sicuramente di portata minore, son ricordate qui.

Nel 2005, Alessandro Litta Modignani, storico radicale di Milano e per un paio d’anni consigliere regionale lombardo per la Lista Bonino, aveva orchestrato la fuga di un pallavolista cubano durante una trasferta della nazionale di quel paese a Milano. Una macchina parcheggiata dietro il pullman della squadra, una maglietta della Juventus, e Xavier Augusto Gonzalez Pantòn, 22 anni, “alzatore” della nazionale di cubana di volley, non si presentò al match dov’era atteso.

Un fatto simile era già accaduto nel 2001 quando Ihosvani Hernandez (campione d’Italia nel 2000), Lionel Marshall, figlio dell’allora presidente della Federazione cubana di pallavolo, Jorge Luis Hernandez, Yasser Romero e Ramon Gato avevano deciso di restare in Italia durante una tournée della nazionale cubana nell’Europa del nord. In una conferenza stampa a Milano dichiararono di voler chiedere asilo politico nel nostro paese e di voler “continuare a giocare per la nostra nazionale, ma” dissero “per il bene proprio della nazionale cubana, crediamo che sia giusto darci la possibilità di disputare il miglior campionato del mondo, quello italiano. Il nostro gesto è un modo per far capire alle autorità sportive del nostro paese che vogliamo aprire un dialogo utile per tutti gli atleti cubani. Per questo non chiediamo lo status di rifugiati”.

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