Sunday, September 30, 2018

Bananas for Democracy

Secondo Mohandas Karamchand Gandhi, la cui data di nascita è stata scelta dalle Nazioni unite per celebrare la giornata mondiale per la non-violenza, un “mezzo giusto porta a un fine giusto”. Per il mingerlino ex avvocato indiano, la non-violenza era l'unica via possibile per arrivare all'indipendenza dell'India senza massacri.

Se, per dirlca con Marco Pannella  “i mezzi prefigurano i fini”, i movimenti civili che hanno caratterizzato la scena politica di Hong Kong da quando il territorio fu restituito alla Cina nel 1997 rappresentano un interessante (e purtroppo poco noto o studiato) esperimento di nonviolenza spontanea dalla caduta del Muro di Berlino. Dal 2011, infatti, nell’ex colonia britannica del mare cinese del sud s’è sviluppato un movimento senza una leadership personalistica e senza una precisa ideologia di riferimento che non fosse la richiesta di democrazia.

In base alla promessa fatta da Pechino di mantenere “due sistemi” ma “un paese”, promessa che finirà nel 2047, Hong Kong ha potuto sviluppare un sistema politico diverso da quello della Cina continentale. La Basic Law del territorio, l’equivalente della “costituzione”, prevede che la regione, escludendo le relazioni internazionali e la difesa, possa godere di un significativo grado di autonomia in molti aspetti della vita civile ed economica. Anche al fine di tutelare gli interessi economici, commerciali e finanziari che caratterizzano l’isola da oltre un secolo e mezzo, la magistratura è sostanzialmente indipendente e ha continuato a funzionare secondo il modello britannico della Common Law.

I miei nipoti di Mubarak

La cosa che ho sempre maggiormente apprezzato della politica radicale era ilfatto che diceva quel che veniva fatto e faceva quel che veniva detto. In politica si tende sempre a enfatizzare talmente tanto i propri meriti, o il proprio ruolo, che si rasentano i confini del millantato credito.

A dir la verità, alla fin fine sono pochi in effetti in partiti o movimenti politici che possono rivendicare successi; tra questi i Radicali sicuramente possono vantarsi di conquiste di libertà e civiltà in Italia e altrove. Nei miei 20 anni passati a cercar di dar corpo alla poetica pannelliana, una delle più efficaci nel far tesoro vittorioso anche le sconfitte, mi è anche capitato di fare cose molte pubbliche e in pubblico, ma alcune anche in gran segreto. La più clamorosa è raccontata nel capitolo “the calling fields” di questo libro relativa all’incriminazione di Milošević davanti al Tribunale per la ex Jugoslavia, le altre, sicuramente di portata minore, son ricordate qui.

Nel 2005, Alessandro Litta Modignani, storico radicale di Milano e per un paio d’anni consigliere regionale lombardo per la Lista Bonino, aveva orchestrato la fuga di un pallavolista cubano durante una trasferta della nazionale di quel paese a Milano. Una macchina parcheggiata dietro il pullman della squadra, una maglietta della Juventus, e Xavier Augusto Gonzalez Pantòn, 22 anni, “alzatore” della nazionale di cubana di volley, non si presentò al match dov’era atteso.

Un fatto simile era già accaduto nel 2001 quando Ihosvani Hernandez (campione d’Italia nel 2000), Lionel Marshall, figlio dell’allora presidente della Federazione cubana di pallavolo, Jorge Luis Hernandez, Yasser Romero e Ramon Gato avevano deciso di restare in Italia durante una tournée della nazionale cubana nell’Europa del nord. In una conferenza stampa a Milano dichiararono di voler chiedere asilo politico nel nostro paese e di voler “continuare a giocare per la nostra nazionale, ma” dissero “per il bene proprio della nazionale cubana, crediamo che sia giusto darci la possibilità di disputare il miglior campionato del mondo, quello italiano. Il nostro gesto è un modo per far capire alle autorità sportive del nostro paese che vogliamo aprire un dialogo utile per tutti gli atleti cubani. Per questo non chiediamo lo status di rifugiati”.

Friday, September 28, 2018

Nouakchott

L'ufficio di Marco Pannella non era più un ufficio. Al terzo piano di via di Torre Argentina a Roma, Pannella occupava la "saletta", un luogo che in passato aveva ospitato fumosissime e tesissime riunioni su tutto lo scibile umano utile e inutile, ma che da qualche anno era divenuta una via di mezzo tra un magazzino di libri e carte - Pannella si faceva stampare le agenzie almeno quattro volte al giorno insieme alle email e a schermate di dibattiti su forum online - una sala di controllo dove radio e TV erano sempre accese, spesso a volume elevati, e un fumoir.

Il tempo pareva seguire i ritmi di Pannella e non viceversa, chiunque era benvenuto, anche perché la porta era sempre aperta, si sapeva quando si entrava ma non quando si usciva.

Col tempo, a occhio e croce 50 anni, negli uffici di Pannella sono entrate migliaia di persone con proposte, richieste, offerte, regali e tante altre cose che magari con la politica c'entrano meno. Pannella era probabilmente l'unico leader di partito, o parlamentare, sinceramente "open" come si deve dire oggi.

Fino a quando la malattia non lo costrinse a letto, era totalmente accessibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, non c'erano filtri di segreterie o "cerchi magici" - ti annunciavi e ti potevi accomodare. Tra i tantissimi a cui fu prestato orecchio nell’estate del 2010 ci fu Ivana Dama, una ragazza di Napoli sposata con un mauritano che raccontò a Pannella che nel suo paese esisteva ancora la schiavitù e che chi lottava perché questa venisse abolita era un nonviolento che si chiamava Biram.


[continua]